giovedì 28 maggio 2015

L'arte del silenzio non invecchia

 
Nemmeno ci provo. Proprio non ne sarei capace.
Di fare una recensione cinematografica, dico, per quella vi rimando qui.
Ma “Youth” di Sorrentino mi ha portato dentro a certi rit(m)i del mio sentire. Perché ci interroga, oltre che sul tempo che passa, anche sul senso del silenzio. Che non è tanto l'assenza di suoni, ma la base stessa del suono, del linguaggio e forse anche del cinema.
Ci invita  a renderci “sensibili a quei fili di silenzio di cui il tessuto del suono è intramato”.
Insomma più che seguire una trama questo film sembra segua una partitura.
Io capisco solo la musica” dice Michael Caine  che in “Youth” è un  corteggiato compositore e direttore d’orchestra che si è ritirato dalle scene “c'è e non ha bisogno di parole, ne di spiegazioni
Solo ha partire da questa consapevolezza, ben presente nel protagonista del film, si può scoprire che  paradossalmente il silenzio parla molte voci. Ce n'è uno prezioso (il silenzio è d'oro) e uno che indica penuria (il silenzio di tomba), ma anche il silenzio che crea tensione e quello della mancanza come in Lisbon story  di Wenders quando il fonico registra l'assenza dell'amico.
Ma tornando al film di Sorrentino: vedendo le scommesse dei due vecchi amici (Harvey Keitel e Michael Caine)  sul fatto che coppia vicina di tavolo non si parla mai: “stasera apriranno bocca, sì o no?” oppure nella scena dove la giovane massaggiatrice sussurra: “non serve parlare basta toccarsi per capirsi” , sembra che il regista voglia riflettere sul silenzio e sul fatto che bisogna re imparare ad ascoltarlo e in questo caso anche a guardarlo.
John Cage diceva: “Non esiste il silenzio. Accade sempre qualcosa che produce suono”. Ma per captare quel qualcosa bisogna sottrarsi al rumore di fondo.
Certi silenzi possono sembrare apatia, e di apatia viene accusato dalla figlia il musicista protagonista di Youth. Ma guardare o sentire una cosa vuota è sempre guardare o sentire qualcosa, se non altro gli spettri della propria attesa.
L’apatia semmai è frutto della comunità obbligatoria connessa 24 ore su 24 che ci impedisce di restar in silenzio. E allo stesso tempo l'affollamento di immagini, parole, suoni di oggi essendo privo di corpi è oppresso dalla solitudine.
Imparare la sottrazione dalla massa infinita di rumore, ricreare le condizioni per l’ascolto del silenzio, ecco cosa serve per accorgersi dell’altro da sé. Perché diventare apatici è sicuramente peggio che diventare vecchi.

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